Come interpretare il pianto del tuo bambino? Spesso viviamo sensazioni di ansia e paura di fronte al pianto del bambino, soprattutto nei primi mesi di vita. E non sappiamo come interpretarlo. Alcune suggestioni per imparare ad ascoltarlo.
Alcuni mesi fa ho tenuto un interessantissimo incontro presso l’Associazione La Luna Nuova sul pianto dei bambini e come interpretarlo. Ricordo bene che anche per me ascoltare il pianto dei miei bimbi non è mai stato facile. Ho scoperto che il pianto viene utilizzato come strumento di tortura per i prigionieri. E non mi sorprende. E’ immediatamente in grado di attivare gli ormoni dello stress. Ovviamente è una reazione sana e fisiologica, funzionale alla sopravvivenza del neonato. Provate a fermarvi un momento e a riflettere su che tipo di sensazioni provate quando ascoltate il pianto di un bambino.
Il pianto è sicuramente un elemento fondamentale di comunicazione dei bisogni primari di un bambino. Tra i bisogni primari che il neonato esprime ci sono sicuramente la fame e il bisogno di contatto fisico. Altre volte segnala il bisogno di un nuovo stimolo, di fare qualcosa di diverso.
5 tipi di pianto nei primissimi mesi
Ho seguito con grande interesse il lavoro di Priscilla Dunstan, una cantante lirica, che è riuscita ad identificare e interpretare cinque diverse tipologie di pianto nei neonati. E quando aiuto le mamme con i bimbi appena nati spiego sempre il significato di questi 5 tipi di pianto. Possono essere di grande aiuto nei primi mesi di vita del bambino.
Potete trovare un bellissimo video su YouTube in cui Priscilla spiega il suono e il suo significato. E sono certa che aiuterà neomamma e papà a orientarsi un po’ nei primissimi mesi.
Il significato del pianto nei bambini
Abbiamo visto che in generale il pianto è il canale primario di comunicazione che il bambino utilizza fino a quando impara a parlare. Ci sono bambini che sembrano piangere più di altri. O essere più difficilmente consolabili. Sono quei bambini che io definisco ad alta intensità: bambini che sono facilmente turbati dallo stress e dalla iperstimolazione o che hanno vissuto qualche forma di trauma precoce di tipo emotivo. E che spesso mettono molto in difficoltà i genitori perchè sembrano piangere inconsolabilmente.
Il nostro rapporto con il pianto del nostro bambino è fortemente influenzato dalla nostra esperienza di bambini. Molti adulti sono infatti cresciuti senza alcun sostegno emotivo. Spesso siamo stati lasciati soli a piangere o ci è stato ripetuto incessantemente di smettere di piangere. In alcuni casi siamo stati persino puniti per aver pianto. E questo causa una sorta di paura o di grande disagio ogni volta che sentiamo piangere. Per questo motivo l’istinto immediato è di far terminare il pianto per potersi proteggere.
Pianto e allattamento
Ovviamente nei primi mesi un ruolo importante lo svolge anche l’allattamento. E spesso nei primi mesi il pianto è legato al bisogno primario di mangiare. Troppo spesso però la fatica (che ricordo bene!) è quella di riuscire a cogliere e differenziare le richieste del bambino. Il pianto del bambino anche nei primissimi mesi non è solo un segnale di fame. Talvolta è lo strumento che il bambino utilizza ad esempio per scaricare le emozioni e lo stress accumulato nel corso della giornata. E rispondere a qualsiasi tipologia di pianto offrendo solo il seno può in realtà trasformarsi in un modo per fermare il pianto che però in un certo senso reprime le emozioni. E insegna al bambino che le emozioni negative non vengono accolte. O che quando qualcosa ci turba l’unica soluzione può venire dall’esterno, mettendo qualcosa in bocca.
Sviluppare la capacità di ascoltare
Secondo me invece la relazione con il bambino nei primi mesi di vita dovrebbe essere costituita da due aspetti fondamentali: la relazione di allattamento e la capacità di ascoltare in modo supportivo ed empatico il bambino. E sviluppare questa capacità di ascolto è più complicato che offrire il seno ogni volta che il bambino mostra segni di disagio.
Il primo anno di vita rappresenta un periodo delicatissimo e fondamentale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro tra il bambino e le persone che si prendono cura di lui. Cosa significa? Significa che il bambino esprime dei bisogni e deve trovare intorno a lui una capacità di riposta pronta e puntuale ma anche una sintonizzazione tra genitori e bambino basata su una grande sensibilità. Questo legame con la madre (in generale con chi si occupa del bambino) è alla base della creazione di una solida fiducia di base.
Funzione benefica del pianto
L’aspetto fondamentale da sottolineare in questo caso è che il compito dei genitori è senz’altro quello di rispondere al bambino, ma non necessariamente quello di far sì che il bambino non pianga mai. Non è realistico e neanche corretto, considerato che il pianto ha anche una sua funzione benefica e talvolta persino terapeutica.
Troppo spesso nelle famiglie che incontro in studio mi accorgo che si trascura la funzione fondamentale del pianto e mi chiedo se il fatto di non essere in grado di ascoltare il pianto del proprio figlio (e il tentativo immediato di placare e far terminare il pianto in qualsiasi modo) non interferisca con l’opportunità che il pianto offre di aiutare il bambino a lasciare andare le tensioni e talvolta persino ad elaborare e superare situazioni traumatiche.
Imparare ad accogliere le emozioni
E’ come se culturalmente tendessimo a bloccare e sopprimere una sana espressione delle emozioni. Mentre imparare ad ascoltare il pianto del bambino, magari accompagnandolo o sostenendolo o stando al suo fianco, permette di cominciare ad esplorare il mondo delle emozioni tra le braccia rassicuranti di mamma e papà.
Di fatto molti studi di ricerca dimostrano che dopo aver pianto le persone si trovano in uno stato di rilassamento fisiologico che ha un riscontro fisico: si abbassa la pressione sanguigna, la temperatura corporea e la frequenza cardiaca e si osserva una sincronizzazione nel ritmo delle onde cerebrali. Un’altra importante ricerca mette in luce che nelle lacrime si trova una concentrazione elevata di ormoni dello stress e quindi la funzione del pianto e delle lacrime potrebbe proprio essere quella di eliminare il quantitativo eccessivo di ormoni dello stress che si sono accumulati.
Quando parlo di questi aspetti con i neogenitori mi chiedono come sia possibile che dei bambini così piccoli possano già aver vissuto degli eventi così stressanti o traumatici. Se ci pensiamo con attenzione anche un neonato può aver vissuto momenti di grande stress sia durante la gravidanza che nel momento del parto. Ma anche una volta venuto al mondo è facilmente soggetto ad iperstimolazione o a momenti di frustrazione specialmente quando cerca di conquistare nuove competenze.
Ascoltare il pianto senza paure
Vorrei quindi incoraggiare tutti i genitori a pensare che non tutti i momenti di pianto e agitazione del bambino indicano un bisogno immediato che l’adulto può risolvere. Ci sono degli episodi di pianto per cui non c’è soluzione e forse l’unica cosa di cui ha bisogno il bambino è di un adulto che lo sostenga e gli stia vicino, e che con poche semplici parole dia un nome all’emozione che emerge in quel momento.
Osservo e comprendo che spesso i genitori di fronte a questi momenti di grande intensità emotiva si sentano in ansia, arrabbiati, in colpa o impotenti. So che non è facile ascoltare un bambino che piange intensamente o incessantemente.
Un’interpretazione diversa
Ma voglio proporre un’interpretazione diversa del pianto che forse può mostrare ai genitori spesso impauriti e sofferenti che il loro ruolo e la loro capacità di ascolto in questi momenti può essere fondamentale per aumentare la vicinanza e connessione emotiva con il loro bambino.
Un bambino che piange in modo inconsolabile, ma che si sente ascoltato e sostenuto impara che nella sua famiglia sono accolte e sostenute emozioni di tipo diverso. Apprende che esiste una varietà di emozioni; che mamma e papà accolgono con amore sia la gioia e i sorrisi che la tristezza o frustrazione espressa con il pianto. Accogliere il pianto del bambino gli fa scoprire che nulla può danneggiare il legame tra lui e i suoi genitori. Ma soprattutto gli comunica la sensazione di essere amato incondizionatamente. Con tutte le sue emozioni; quelle più facili e quelle più difficili.
Mi accorgo molto spesso invece che i genitori di fronte ad un pianto intenso perdono sicurezza nelle loro capacità e tendono a sentirsi incompetenti o incapaci di risolvere la sofferenza del bambino.
Il pianto non è un segnale di sofferenza ma è il processo che porta a superare la sofferenza
Se dovessi esprimere un desiderio, vorrei che leggendo questo articolo vi portaste via l’idea che il pianto non è l’evidenza o il sintomo che indica che il bambino sta soffrendo, ma al contrario è il processo che permette al bambino di superare la sofferenza, di guarire eventuali traumi vissuti. E che invece di essere un segno che indica un rifiuto da parte del bambino, rappresenta in modo chiaro che il bambino si sente così al sicuro da potervi mostrare le sue emozioni, anche quelle più difficili.
Spesso dopo un pianto intenso, ritorna la serenità sul viso del bambino. Il bambino riesce finalmente a rilassarsi e spesso anche a dormire con tranquillità. Sentendo profondamente di essere stato accolto, accettato e compreso anche mentre esprimeva una parte di sé più difficile.